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In tema di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici ex art. 3 del D.lgs. n. 74 del 2000, l´integrale adempimento del debito tributario conseguente alla procedura conciliativa con l´Amministrazione finanziaria esclude il mantenimento del sequestro preventivo funzionale alla confisca, anche per equivalente, del profitto del reato, venendo meno il rapporto di necessaria strumentalità tra l´ablazione delle somme corrispondenti alle imposte evase e l´esigenza del loro recupero.
Ernesto Di Tommaso
Con la sentenza n. 32282 del 2024, la Suprema Corte affronta il tema: “della natura dell’accertamento con adesione e delle conseguenze che l’integrale pagamento del debito tributario, conseguente alla procedura conciliativa con l’Erario, assume rispetto all’adozione (o, come nella specie, al mantenimento) del sequestro funzionale alla confisca per equivalente”.
In via preliminare, si rappresenta che la vicenda approda al vaglio del Supremo Collegio, a seguito del ricorso presentato dai due difensori avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Siena, con la quale si rigettavano gli appelli cautelari proposti dalla difesa, confermando il decreto di revoca parziale del sequestro preventivo, funzionale alla confisca del profitto del reato di cui all’art. 3, D.lgs. n. 74 del 2000 contestato ai due ricorrenti.
Le difese propongono ricorso per cassazione, articolando nel complesso quattro motivi di ricorso.
Tema centrale degli atti difensivi è quello inerente all’efficacia dell’accordo, a seguito di procedimento con adesione, sull’ultrattività del sequestro preventivo finalizzato alla confisca.
La Suprema Corte, prima di entrare in media res, ritiene opportuno affrontare la natura dogmatica dell'accertamento con adesione.
Ritiene la Corte che: “ l’accertamento con adesione è accordo stipulato con l’Agenzia delle Entrate prima che venga instaurato un contenzioso: consente di negoziare la pretesa e di ottenere la riduzione delle sanzioni al terzo del minimo, quand’anche l’Ufficio intenda irrogarle nella misura massima”.
Quindi, oltre alla natura dogmatica, si evidenziano gli effetti premiali dell’adesione, diffusamente: la diminuzione delle sanzioni penali sino ad un terzo per i delitti tributari e l'esclusione dalle sanzioni accessorie, qualora il contribuente estingua il debito prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.
Chiarito l’aspetto premiale, la Corte procede all’approfondimento dell’istituto in relazione alla misura cautelare reale funzionale alla confisca.
Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca ha l'obiettivo di preservare l’adempimento del debito tributario; debito che va riferito: “all’ammontare dell'imposta evasa, da quantificarsi come risparmio economico da cui consegue l'effettiva sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale”.
In particolare, le difese nei motivi di ricorso rilevano che, essendo intervenuta procedura di adesione e pagamento del debito tributario, non vi siano più i presupposti legittimanti il mantenimento del sequestro preventivo. Non ritengono, altresì, , che il giudice penale, sulla base del principio del doppio binario del sistema penale tributario, non fosse vincolato all’ accordo intercorso con l’Agenzia delle Entrate e che, perciò, potesse ritenere sussistente i presupposti del sequestro.
Le difese, quindi, ritengono che il principio de qua, può operare in relazione all'individuazione degli elementi tipici dell'illecito penale tributario, ma non già alla determinazione del profitto del reato nell’ambito del sequestro preventivo, nell'ipotesi in cui il creditore, nel caso di specie l'Agenzia delle Entrate, a seguito del pagamento di quanto dovuto al contribuente, dichiari di non aver più nulla a pretendere con il contribuente medesimo.
Il Supremo Collegio, accogliendo i rilievi difensivi, ritiene che: “non è pertinente il richiamo, operato dal Tribunale, al principio del doppio binario, ossi al fatto che le determinazioni assunte dall’Agenzia delle Entrate non sono vincolanti per il giudice penale. Un principio del genere, infatti, trova applicazione in relazione alla sussistenza degli elementi tipici di questo o quell’illecito penale tributario, ma non relativamente alla determinazione del profitto del reato, laddove il creditore, ossia l’Agenzia delle Entrate, a seguito del pagamento di quanto dovuto dal contribuente, dichiari di non più nulla a prendere dal contribuente medesimo”.
A sostenere tale orientamento, la Corte richiama un precedente giurisprudenziale, che afferma: “in tema di reati tributari, il profitto, confiscabile anche per equivalente, del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, va individuato nel valore dei beni a fungere da garanzia nei confronti dell’ Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase, con la conseguenza che lo stesso non è configurabile , e non è quindi possibile disporre o mantenere il sequestro funzionale all’ablazione, in caso di annullamento della cartella esattorie da parte della commissione tributaria, con sentenza anche non definitiva e di correlato provvedimento di sgravio da parte dell’Amministrazione finanziaria”.
Pertanto, alla luce di quanto ripercorso dalla Corte, il pagamento del debito tributario, a seguito di procedura adesiva del contribuente, rappresenta elemento neutralizzante il provvedimento ablatorio, in ragione del fatto che il mantenimento della misura cautelare, a fronde dell’adempimento, realizzerebbe un duplice meccanismo sanzionatorio.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Pen., Sez. III, 8 agosto 2024, n. 32282)
Stralcio a cura di Vincenzo Nigro